I dieci anni di sacerdozio di Don Francesco Sicari
La consapevolezza di un giovane che sceglie
di diventare sacerdote
Il fascino della vocazione
di Vittoria Saccà
foto archivio tropeaedintorni.it
Tropea - Don Francesco Sicari, il 13 aprile u.s. ha compiuto dieci anni di sacerdozio. Una tappa importante del suo cammino di fede. Giorno 20 aprile, alle ore 18.00, nel Duomo, c’è stata una solenne celebrazione eucaristica di ringraziamento.
In un tempo come
questo in cui stiamo vivendo, dove l’uomo pare abbia perduto tutta la sua
sicurezza e vacilla al più piccolo soffio di vento, lasciandosi vincere
dall’egoismo, dalla cattiveria e da tutto ciò che è negativo, nel porgere a don
Sicari i nostri auguri per i suoi dieci anni di sacerdozio, abbiamo voluto
rivolgergli alcune domande per camminare un po’ anche noi sui sentieri segnati
dalla Chiesa.
-Quando ha sentito
il richiamo di Dio e quando ha deciso di dedicarsi completamente alle Sue opere?
E’ stata una scelta sofferta oppure gioiosa?
“C’è una domanda che bisogna fare prima della suddetta. E cioè” perché un giovane sceglie di diventare sacerdote”. Ero convinto già all’inizio del mio cammino formativo e lo sono più che mai dopo 10 anni di sacerdozio che essere prete non comporta una posizione eminente o una carriera assicurata; il prete è sempre meno l’immagine del successo umano, più spesso quella di un uomo che, nell’esercizio quotidiano del suo ministero, vive la Croce di Cristo e sperimenta concretamente cosa significa essere segno di contraddizione.
Il motivo e il fascino della vocazione sacerdotale possono dunque venire solo da una certezza, cioè dalla consapevolezza che Gesù è la Via, la Verità e la Vita e in nessun altro c’è salvezza.
Questa consapevolezza ti cambia dentro a tal punto che comprendi che la tua vita ha senso se ti metti completamente al servizio di questa Verità affinché tanti uomini e donne possano fare questa tua stessa scoperta che è la strada per la felicità piena e duratura.
Tutto questo in me si è realizzato grazie ad un cammino di fede stabile, iniziato fin da piccolo, che ha avuto persone e luoghi precisi: mi riferisco anzitutto alla mia famiglia e all’educazione religiosa da essa ricevuta; mi riferisco alla parrocchia della Cattedrale dove ho incontrato persone “adulte nella fede” che mi hanno affezionato a Cristo con la loro vita: penso in particolare al compianto don Saverio Cortese e al parroco don Ignazio Toraldo; mi riferisco infine alla realtà della casa della Carità dove ho incontrato persone vere che mi hanno voluto bene e accompagnato con la preghiera: Irma Scrugli, Titina Mottola, le altre oblate.
Ecco allora perché mi sono fatto sacerdote: perché questo era il posto che Dio aveva da sempre pensato per me; perché questa convinzione è divenuta tale non come frutto di un ragionamento a tavolino, ma come storia di grazia, fatta di persone e di fatti concreti, nella quale il disegno del Signore si è reso evidente.
E con questa serena
consapevolezza e gioia interiore che a 18 anni, dopo la maturità classica nel
1990 nel Liceo Classico di Tropea, sono entrato nel Pontificio Seminario Campano
di Napoli per iniziare gli studi teologici e il cammino verso il sacerdozio.
-Ha
mai provato tentennamenti durante questo cammino?
“Sarei ipocrita se affermassi che non ho avuto problemi. Sicuramente non mi sono mai tirato indietro circa la mia scelta. Ci sono stati semmai difficoltà di ambientamento nel Seminario di Napoli. L’impatto con una grande città, la vita di seminario fatta di rispetto degli orari, di preghiera e di studio all’inizio ha prodotto in me qualche fatica o scoraggiamento, ma superata la prima fase di assestamento, ho camminato con impegno costante, fiducioso nella Provvidenza che non ti fa mai mancare il Suo sostegno. L’amicizia con i miei compagni di studio, la passione per le materie filosofiche e teologiche, l’importante e sapiente opera educativa dei miei formatori, i padri gesuiti e la vita spirituale hanno sostenuto il mio cammino di discernimento e di conferma della mia vocazione.
Tante sono state le
difficoltà anche nel mio ministero pastorale nelle parrocchie di San Cono e San
Marco di Cessaniti dal 1996 al 2001 e in quello di Zaccanopoli dal 5 novembre
del 2000, ma la grande tenacia e volontà nel perseguire non la mia strada, ma
quella del Signore mi hanno permesso di superare momenti di sconforto.
-In che misura
sente accresciuta la sua Fede?
“E’ bello poter
pensare che anche il sacerdote cresce nella fede. Del resto prima di essere un
ministro, egli è un cristiano, un discepolo alla scuola del Signore. Crescere
nella fede è riconoscere sempre più che solo Gesù è la Verità della nostra vita
e vivere fedeli alla consegna della Liturgia: Credi a ciò che leggi. Insegna
ciò che credi. Pratica ciò che insegni. E ancora: Sii consapevole di ciò che
farai. Sii imitatore di ciò che compirai. E ispira la tua vita al mistero della
croce del Signore. Penso di essermi sforzato in questi 10 anni di seguire
queste consegne.
-Nel suo rapporto
quotidiano con i fedeli, ritiene di aver profuso il massimo del suo impegno?
Non so se fino ad ora ho profuso il massimo del mio impegno, posso dire senza dubbio di aver fatto del mio meglio, con tutti i miei limiti e difetti, nel servizio alle comunità che mi sono state affidate dal Vescovo e negli altri incarichi che svolgo nella chiesa diocesana ( padre spirituale nel seminario di Mileto, direttore del Centro diocesano Vocazioni e delegato per il diaconato permanente). Posso affermare di essere pienamente consapevole della parola del Signore “Senza di me non potete fare nulla” e di sentirmi ogni giorno uno strumento nelle sue mani. La nostra affabilità, le nostre “competenze” o capacità pastorali sono importanti nello svolgimento della missione sacerdotale, ma la forza e la riuscita di tutto nasce dal mettersi in ascolto nella preghiera della volontà del Signore.
-Lei è
l’assistente ecclesiastico del gruppo scout di Tropea. Quanto è importante per
la formazione dei giovani quest’Associazione?
Direi che è
necessaria, più che importante. L’esperienza scout è infatti una grande scuola e
palestra di vita per imparare ad essere “un buon cittadino e un buon cristiano”.
Dietro ogni attività c’è una chiara intenzionalità educativa che guida il
servizio degli Adulti (Capi) verso i ragazzi dell’associazione. Il metodo è
meraviglioso e affascina i ragazzi: negli scout infatti si fa educazione non con
parole o bei discorsi, ma attraverso quel veicolo educativo fondamentale che è
l’esperienza; non c’è apprendimento o crescita dei ragazzi se non in riferimento
ad un’azione vissuta o condivisa. Si fa educazione giocando, vivendo l’avventura
e facendo strada insieme. Lo scoutismo è una grande avventura esplorativa
attraverso la quale ciascuno è chiamato a riconoscere e ad accogliere la propria
vocazione di uomo/donna nel mondo, secondo il progetto di Dio.
-Tra la gioventù
c’è una forte caduta di valori. Come bisognerebbe intervenire per riconquistarla
al Bene Universale?
Il vero problema nel
rapporto coi giovani è la crisi dell’educazione. Gli adulti di oggi non sono più
in grado o non vogliono educare i propri figli. I giovani di oggi sono una massa
di giovani non educati cioè non diretti. Che cos’è infatti l’educazione se non
la capacità di dirigere una persona più giovane a trovare la sua strada, il suo
Destino? Oggi gli adulti hanno deciso di non dirigere più da nessuna parte. Per
quale motivo? Forse perché i primi loro non sanno più dove andare. Hanno
smarrito il significato e la visione profonda della vita. E così si lascia che i
giovani riempiano il sacco della propria vita come “pare e piace”, seguendo una
errata idea di libertà che equivale a non porre alcun limite. E’ necessario
ritornare a educare in questi termini. E’ un impegno e una sfida da lanciare
alle nostre famiglie, alla scuola e alle associazioni.
-Secondo Lei, i
giovani sono vicini alla Chiesa?
Anche se non bisogna
generalizzare, pur tuttavia è doveroso affermare che questa forte mentalità
antieducativa che caratterizza la nostra società ha prodotto giovani con poca o
nulla formazione culturale e religiosa. Nelle inchieste più serie le risposte
dei giovani rivelano ignoranza, indifferenza e una mancanza di educazione
religiosa. Tutto questo li porta ad essere lontani dalla Chiesa o a vivere un
appartenenza marginale. Cosa fare? Bisogna tendere loro la mano. Intraprendere
con coraggio un forte impegno pastorale per un rinnovato primo annuncio del
vangelo che coinvolga tutta la comunità cristiana, a partire dalle famiglie. Un
impegno che miri a far scoprire ai giovani la bellezza dell’essere amati dal
Signore, con la speranza che il seme della fede attecchisca nei loro cuori e si
radichi nella loro vita.
-Se dovesse spiegare ad un giovane “chi è Dio”, come glielo spiegherebbe?
Anzitutto lo aiuterei a riflettere sulle false immagini di Dio che ci portiamo. Immagini che devono essere purificate per lasciare posto ad una relazione sempre più sana e santa con Dio.
Dio non è come un
maestro di scuola di fronte al quale vivo in un timore permanente; Dio non è un
vendicativo, al quale attribuire questa malattia o disgrazia; Dio non è un
legislatore per cui la nostra vita di cristiani consisterebbe in una successione
di doveri o di proibizioni decretate da una legge morale opprimente. E allora
chi è Dio? Ce l’ha detto San Giovanni: Dio è Amore. Il volto di questo Dio Amore
è il volto di Cristo, crocifisso per amore. In Gesù di Nazareth noi scopriamo il
progetto di Dio per l’umanità.
-Come motiverebbe
il perché della Fede?
La fede è la risposta
concreta alla ricerca del senso della vita. Diceva Montanelli: “Io non mi
considero affatto ateo e non capisco come possa esserlo. La nostra vita, il
mondo, il creato, l’esistente devono pure avere un perché che la mia mente e la
mia ragione non riescono a spiegarmi. Ed è là dove mente e ragione finiscono, e
finiscono purtroppo presto, che per me comincia il grande mistero di Dio”. Di
fronte alla domanda: qual è il senso della vita, io non rispondo come Scalfari
“vivere e basta”, ma seguendo l’esempio dei Magi incontro e mi lascio
interpellare da quel Bambino che è nato a Betlemme perché nella Sua vita
riconosco la verità più profonda e sperimento il dono di una Salvezza grande. La
fede è riconoscere che Cristo è tutto e fuori di Lui non c’è niente.
-La Chiesa fa di
tutto per richiamare a sé tutta la Comunità?
Certamente. La Chiesa
realizza quello che è il suo compito fondamentale: comunicare il Vangelo in
questo mondo che cambia. Questo avviene attraverso le tre dimensioni della sua
missione: annuncio – catechesi, celebrazione dei sacramenti e dell’Eucarestia
specialmente nel giorno della Domenica e la testimonianza della carità. Il fine
è la formazione di cristiani capaci di una fede adulta, pensata e soprattutto
vissuta nei luoghi della vita quotidiana dove si fa educazione, economia e
politica.
-Dall’inizio del
suo Sacerdozio ad oggi, com’è cambiata, secondo lei, la nostra società?
Il cambiamento è in atto ed è sempre più veloce. I vescovi italiani nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” ci ricordano che in questa società che cambia vi sono anzitutto molte potenzialità e fermenti di bene quali il desiderio di dare autenticità e valore alle cose, il desiderio di prossimità, di socialità, di relazionalità con l’altro, un accresciuta sensibilità alla salvaguardia del creato, innovazioni tecnologiche nel campo della comunicazione ecc…
Accanto a tutto ciò
bisogna riconoscere i rischi e i problemi. Si pensi all’analfabetismo religioso,
crescente tra i giovani, alla fatica o addirittura scelta di non tradurre la
fede in cultura e in gesti di vita. Per cui nella mentalità comune, nella
legislazione e nella prassi si vivono valori alternativi al vangelo e in netto
contrasto con la tradizione cristiana su cui per secoli si è basato lo sviluppo
integrale del nostro vivere. Questo sia riguardo al rapporto tra lo Stato e le
formazioni sociali – in primo luogo la famiglia , dell’economia sia in merito
alla visione della sessualità, della procreazione, della vita, della morte e
della facoltà di intervento dell’uomo sull’uomo.
-E’ cambiato anche
l’atteggiamento della Chiesa?
Per nulla. La Chiesa
fedele alla Sua Missione continua ad annunciare la Verità. E questo spesso da
fastidio ad una cultura massonica e laicista che vuole mettere a tacere questa
voce.
-Nel giorno del
decimo anniversario del suo Sacerdozio cosa augura a se stesso?
Con l’aiuto di Dio, di essere fedele al Dono che ho ricevuto.
Di dare sempre più il meglio di me stesso nell’esercizio del mio ministero sacerdotale e pastorale.
Di diventare sempre più amico di Gesù Cristo cercando di essere capace di scomparire per lasciar trasparire solo Lui.
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