Il 31 ottobre 2002 nella clinica romana “Villa Pia” si è spento l’attore tropeano
Raf Vallone: la sua vita come un film
In una delle ultime interviste concesse, l’attore-giornalista-calciatore Raf Vallone di Tropea (VV) così si esprimeva: “Fin da bambino ho continuato ad avvertire un tenero sentimento di nostalgia per la Calabria, dove tornavo d’estate con la mia famiglia. Spesso a Torino sentivo che mi mancava l’odore dell’uva pestata a piedi scalzi dai contadini. Mi mancava il contatto col mare o la sua vista dall’alto della rupe sulla quale si alza Tropea, una cittadina dal passato ricco di storia: quel mare sonante di voci e di vite che risalgono agli albori della civiltà mediterranea”.
di Bruna Fiorentino
foto Salvatore Libertino
Roma - E’ morto a Roma,
appena spuntata l’alba di un nuovo giorno, ad 86 anni, Raf Vallone. Era nato a
Tropea il 17 febbraio 1916 da madre tropeana, appartenente ad una nobile
famiglia locale (Mottola D’Amato), e da padre torinese, avvocato, casualmente
recatosi nella cittadina calabrese per discutere una causa. L’amore fu
improvviso ma gli ostacoli da parte dei fratelli materni resero l’unione
alquanto burrascosa. Tuttavia il matrimonio si celebrò e fu uno di quelli felici.
Dopo qualche anno, la famiglia si trasferì a Torino in quanto il padre
desiderava farlo crescere in una grande città. Lì, seguendo le orme del genitore
e l’ambizione della madre, definita “abbastanza intransigente” negli
studì, si laureò in giurisprudenza e in filosofia avendo come docenti nomi
illustri quali Mario Fubini, Leone Ginzburg e Luigi Einaudi, suo professore di
scienze delle finanze che un giorno gli disse: “La preferisco più come
calciatore che come economista”.
Infatti
grande fu la sua passione per il calcio che lo portò a giocare, qualche volta,
nella squadra del Tropea e, come professionista, nella stagione 1938-39, in
quella del Torino. Fece parte della nazionale italiana studentesca sconfitta in
una partita da lui definita “venduta al nemico” in una finale contro la
Germania nazista.
Per quanto riguarda, invece, la sua carriera di avvocato essa si arenò
immediatamente dopo aver perso la prima causa a Cirié, un paesino vicino a
Torino.
In seguito all’armistizio dell’8 settembre del 1943, Raf Vallone in modo del
tutto fortuito entrò in contatto con un latinista, già professore universitario,
Vincenzo Ciaffi, uno dei maggiori antifascisti torinesi, appartenente al Partito
d’Azione, che lo introdusse nella Resistenza, vera e combattuta. Finito svariate
volte in prigione per la sua attività sovversiva, scampò alla morte per una
pleurite contratta gettandosi nel lago di Como congelato e restandovi circa tre
ore per sfuggire alle SS naziste.
Apprese della liberazione dell’Italia dal fascimo, il 25 aprile del 1945, nel
sanatorio di Sondalo: “Io ero pazzo di felicità: perché avevo recuperato il
mio fisico e perché festeggiavo la vittoria sul fascismo”, come disse più
tardi.
Fu, comunque, molto deluso dall’”esposizione del cadavere di Mussolini a
piazzale Loreto” e dal fatto che all’improvviso “tutti erano diventati
antifascisti”.
Continuò
a lavorare all’Unità di Torino, dove era approdato negli anni della sua
militanza partigiana, come capo redattore della pagina culturale, frequentando e
lavorando con personaggi quali Massimo Mila, Cesare Pavese, Italo Calvino,
Palmiro Togliatti ecc. Contemporaneamente recitava Garcia Lorca e Büchner al
teatro Gobetti come attore autodidatta. Tuttavia fu sempre il suo lavoro di
giornalista che lo portò al cinema. Infatti un giorno il regista Giuseppe De
Santis lo contattò per quel suo lungo reportage sulla condizione delle mondine
da cui nacque il celebre film “Riso Amaro” (1949) in cui Vallone partecipò
insieme a Vittorio Gassman e Silvana Mangano. Fu l’inizio della carriera
cinematografica di un uomo poliedrico. Nel ’50 divenne il protagonista di “Non
c’è pace tra gli ulivi” e de “Il cammino della speranza”, diretto da Pietro
Germi, dove conobbe l’attrice Elena Varzi, la donna che sposò e dalla quale ebbe
tre figli, Eleonora ed i gemelli Arabella e Saverio.
Da quel momento in poi fu un susseguirsi di successi, anche all’estero, fino a
“Il Padrino – parte III”, nel 1990.
Debuttò in teatro a Parigi con il dramma di Arthur Miller “Uno sguardo dal ponte”
(1958), da lui rivisitato e liberamente rappresentato, e, verso la fine della
intensa carrira, lavorò con il figlio Saverio in “Ornifle” di Anouilh e nel
“Tommaso Moro” di Shakespeare (1993).
A dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, e a futura memoria, ci piace
ricordare alcuni illustri personaggi che frequentò anche in privato: Jean Paul
Sartre, Jacques Prévert, Antonello Trombadori, Albert Camus, il pittore Turcato,
Peter Brook, Alfonso Gatto, Natalia Ginzburg, Carlo Lizzani, Luchino Visconti e
via dicendo
Gli
ultimi anni della sua vita, Raf Vallone li ha trascorsi a Sperlonga, la ridente
cittadina turistica del Lazio che, non a caso, scelse perché molto
rassomigliante alla cara e lontana Tropea.
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